Cosa sarebbe successo a tanti pazienti se, anziché essere sottoposti a terapie e interventi chirurgici inutili, avessero intrapreso un programma riabilitativo basato sulla graduale esposizioni al carico e su evidenze scientifiche? Ecco l’effetto Sliding Doors in Fisioterapia!
Vi racconto una Storia.
Avete mai visto il film Sliding Doors, con protagonista Gwyneth Paltrow? Racconta la storia di una donna e di come un momento le possa cambiare l’esistenza. In particolare, nel film la protagonista vive 2 realtà parallele che cambiano a seconda del fatto che lei riesca o meno a varcare la porta scorrevole della metropolitana di Londra, da cui il titolo del film (puoi leggere qui la trama).
Si parla dell’effetto Sliding Doors, ossia del “cosa sarebbe successo se…“.
Chi di noi, almeno una volta nella vita, non si è chiesto “Come sarebbe andata a finire, se avessi fatto questa cosa…?”, una domanda che nasce di fronte all’imprevedibilità della vita, alle sue coincidenze, al destino che si cela dietro le porte che si aprono o chiudono davanti a noi.
“Molte volte rimango a riflettere su come le mie scelte terapeutiche possano cambiare il destino di molti dei miei pazienti. Questo è uno dei motivi principali per cui negli anni ho cercato di spostare il mio approccio verso un modello di lavoro evidence-based.”
Qualche mese fa visitai, presso il mio studio, una paziente di circa 76 anni. La sua storia mi ha fatto ritornare in mente proprio il film. Chiamerò la paziente come la protagonista del film: Helen.
LA STORIA DI HELEN
Helen è sempre stata una donna attiva nonostante abbia perso, pochi anni prima, suo marito in un tragico incidente: vive da sola e i suoi figli, ormai da diversi anni, abitano lontano.
Helen non guida e non ha nessun parente in città, spesso è costretta a chiedere aiuto ai vicini di casa e ai conoscenti quando deve spostarsi molto lontano da casa.
Tre mesi prima di rivolgersi a me, Helen si è sottoposta ad un piccolo intervento all’occhio, a causa di una complicazione chirurgica, perdendo più del 70% della vista.

La povera Helen diminuisce gradualmente sia le sue attività domestiche che sociali. Nel giro di poco tempo iniziano anche i suoi primi dolori, mai avuti prima: dolore al ginocchio, all’anca e zona lombare.
Non riesce a camminare per più di 100mt, stanchezza e dolore le impediscono di proseguire: inizia così, pian piano a deprimersi.
COSA VIENE PRESCRITTO A HELEN
Helen decide di chiedere un consulto ad un osteopata il quale, dopo un inutile tentativo di manipolazione dei visceri, le consiglia una RX di ginocchio ed una RMN lombare.
I risultati degli esami parlano chiaro: grave artrosi al ginocchio e due brutte protrusioni discali.
A questo punto, Helen chiede consulto a un ortopedico, che dopo aver confermato la gravità della situazione le prescrive FANS e 10 tecar, anticipandole che, nel caso in cui non ci fossero stati miglioramenti significativi della sintomatologia dolorosa, avrebbe dovuto sottoporsi a protesi di ginocchio.
“Helen inizia a pensare a tutte le varie conseguenze che avrebbe comportato un intervento chirurgico, sola e con i figli impegnati con il lavoro…una vera tragedia per lei!”
LE 2 REALTÀ PARALLELE DI HELEN: L’EFFETTO SLIDING DOORS
Arrivati a questo punto, come nel film Sliding doors, la storia avrebbe potuto prendere due strade diverse: 2 realtà parallele che avrebbero segnato per sempre il destino della povera donna.

Gwyneth Paltrow nel film “Sliding Doors” durante la realtà parallela “negativa”: quella in cui riesce a prendere in tempo la metropolitana e scopre, suo malgrado, il suo fidanzato che la tradisce
LA PRIMA REALTÀ
La prima storia è quella NON vera ma è anche quella che purtroppo molti pazienti vivono ogni giorno: Helen, dopo delle inutili sedute di tecar terapia, è costretta a sottoporsi all’intervento di protesi di ginocchio.

Purtroppo Helen non riesce più a recuperare l’autonomia che aveva solo tre mesi prima dell’intervento.
I figli, preoccupati e consapevoli di non potersi prendere cura di lei, pensano di trasferirla in una casa di riposo per anziani.
LA SECONDA REALTÀ
La seconda storia è quella reale e inizia presso il mio studio dopo il consulto con l’ortopedico.
Nella prima seduta, spiego a Helen la scarsa relazione tra imaging e dolore e soprattutto che avere l’artrosi a 76 anni è come avere i capelli bianchi: fa parte del normale processo di invecchiamento (puoi approfondire qui e qui).
La faccio riflettere sul fatto che, prima dell’intervento all’occhio (solo tre mesi prima dell’inizio dei dolori), aveva una vita attiva ed era in grado di muoversi senza nessuna difficoltà, e la sua artrosi era già lì con lei!!!
Ragioniamo insieme sul fatto che i dolori iniziarono proprio perché a causa dell’intervento all’occhio aveva drasticamente ridotto le sue attività quotidiane, causando una diminuzione della sua capacità di carico.
Le propongo di iniziare gradualmente una esposizione al carico, attraverso un programma di esercizi e camminando usando il tapis roulant.
Leggi anche: “Capacità di Carico Tissutale: cos’è e come determinarla”
Nella seconda seduta, ricordo ancora la prima frase che mi disse Helen:
“A te sembrerà strano ma dopo la chiacchierata dell’altra volta mi sento già meglio, ero veramente angosciata!”
ESERCIZI:
Dopo averle chiesto quali siano per lei le attività significative nel suo quotidiano inizio con i primi esercizi:
- Bridge
- box squat
- suitcase deadlift.
In realtà non è così importante la scelta dell’esercizio: in alcuni casi non è così importante sapere se carica più il quadricipite o gli ischio-crurali, gli effetti dell’esercizio sappiamo benissimo che sono altri. (puoi approfondire qui)
TAPIS ROULANT:
Chiedo ad Helen di percorrere la maggior distanza possibile e di comunicarmi quando inizia ad uscire dalla sua comfort zone: a 240mt dolori su ginocchio e zona lombare.
Decido di usare questa distanza come baseline nelle sedute successive incrementando gradualmente la distanza: passiamo, nel giro di poche settimane, a percorrere più di 2km senza la comparsa di nessun sintomo.
Leggi anche: “Ritorno alla corsa dopo un infortunio: come impostare una corretta progressione del carico di allenamento”
CONCLUSIONI
Attualmente Helen sta molto meglio.
Ha ripreso a fare tutto quello che faceva prima e si vede 2 volte a settimana con una sua amica per passeggiare all’aria aperta (40 minuti).
Nonostante la letteratura scientifica abbia ampiamente dimostrato come non ci sia sempre una stretta relazione tra imaging e dolore, spesso vengono prescritti esami inutili e cure senza nessuna evidenza, Tecar in primis.
Non vengono mai presi in considerazione i fattori contestuali, soprattutto le parole che probabilmente fanno più danni della terapia stessa (puoi approfondire qui).
La storia di Helen è una come tante, quanti pazienti conosciamo che hanno subito interventi inutili? Spesso per molti di loro il destino è stato segnato negativamente, in maniera ingiusta, proprio a causa delle nostre scelte terapeutiche e processi decisionali sbagliati.
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Ho letto con interesse l’articolo , è volevo risaltare dei punti fondamentali , spesso oramai da tempo spariti , e non presi in considerazione :La correttezza professionale , avresti potuto guadagnare molto di più facendogli le solite terapie tecar us , esercizi di equilibrio , rinforzo manuale ( una cosa orribile) ma hai preferito il bene del pz , andando contro il luoghi comuni : IL RIPOSO CON L’ARTOSI FA BENE) conoscevi fortunatamente gli effetti benefici della Capacità di carico tissutale usando una distanza come baseline ed aumentando progressivamente il carico .Hai usato un approccio Biopscosociale elemento spesso trascurato , ma il risultato più importante che hai ragionato , non hai usato la ricerche o le linee guida alla lettera , hai usato il tuo cervello , la tua ispirazione , e il tuo sapere . Ottimo articolo con ottimi spunti
E’ sempre un piacere ricevere i complimenti da uno dei migliori fisioterapisti in ambito sportivo, sei una persona molto umile che ha saputo mettersi in discussione nonostante l’esperienza di lavoro con i migliori giocatori di calcio mondiale.
Grazie ancora, con stima…Ilio.